In questo momento tutti parlano dell’articolo 62 per le ripercussioni che si verificheranno nella gestione finanziaria delle imprese coinvolte ma la vera rivoluzione potrebbe essere un’altra.
Nel primo comma dell’articolo si legge infatti che:
I contratti devono essere informati (improntati ? ndr) a principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni… Inoltre nel decreto attuativo (all’esame del consiglio di stato) si fa esplicito riferimento al rispetto del documento “high level forum for a better functioning of the food supply chain” del novembre 2011 che probabilmente pochi hanno letto e quasi nessuno applica.
La trasparenza
Bella parola di cui da anni ci riempiamo la bocca quando parliamo di “modelli negoziali a cui tendere”: ma è veramente raggiungibile?
Significa che il distributore potrà conoscere, se lo richiede, il reale “costo industriale” delle merci acquistate? Oppure il reale investimento del fornitore in advertising? Potendo quindi valutare una “equa” ripartizione della catena del valore? Oppure “trasparenza” significa che al distributore che lo dovesse richiedere dovranno essere mostrate le condizioni applicate ai suoi competitor? Oppure al produttore che lo dovesse richiedere il distributore dovrà dire cosa ha pagato di “listing” il suo concorrente diretto o quanto ha pagato una promozione o un’esposizione preferenziale, etc..?
A mio giudizio sarà molto difficile.
La correttezza
Sempre più difficile !
Definire cosa è corretto e cosa è scorretto in un contratto è impresa ardua in quanto il giudizio è assolutamente soggettivo.
E’ corretto chiedere denaro in cambio dell’ingresso negli assortimenti di un distributore di una o più referenze? Per il distributore certamente SI, in quanto sostiene un “onere straordinario” considerevole (codifica, nuovi posti pallet, rifacimento del display, ecc…) per il quale è “giusto” chiedere un contributo al fornitore. Per il produttore certamente NO, in quanto gli oneri di cui sopra fanno parte delle attività “caratteristiche” proprie di chi distribuisce; quindi quasi assimilabile ad una “tangente”.
E’ corretto inserire in contratto un premio fine anno calcolato sulla fornitura di prodotti di altissima rotazione (indispensabili) ottenibile solo se il distributore tiene in assortimento altri prodotti a bassissima rotazione (praticamente inutili) ? Le “scorrettezze” da ambo le parti che ogni giorno vengono compiute sui tavoli della negoziazione sono moltissime: un certo miglioramento si potrebbe ottenere inserendo nel decreto attuativo l’elenco delle “pratiche (certamente e assolutamente) scorrette” e le relative sanzioni per chi le compie … ma credo che non si farà, almeno per ora.
La proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni
Bel principio quello della “proporzionalità” e dei “vantaggi reciproci” che in pratica vuol dire “tu mi cedi delle merci ad un giusto prezzo in grado di farci guadagnare entrambi (…e magari ne gode anche il consumatore)”, ma spesso non si applica.
Un imprenditore tedesco mi ha raccontato che ha recentemente partecipato ad una “gara” per fornire ad un importante gruppo italiano una gamma di prodotti a base di carne suina; dopo la comunicazione dell’Insegna che i suoi prodotti erano stati giudicati i migliori da un’apposita commissione per rapporto qualità prezzo pensava di aver vinto.
Dopo poche settimane però si è visto richiedere un “listing una tantum” pari a quasi due anni di fornitura. Ovviamente ha cercato di mitigare la richiesta, senza successo; ha quindi perso la gara a favore di un suo competitor.
In Germania, a detta sua, questo non succede. Non so se sia vero. Preferirei però che nel mio paese questi fatti non accadessero.
Nei prossimi editoriali proseguiremo con i commenti agli altri comma dell’Art. 62.
EDITORIALE di Roberto Masu
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