Vi siete mai accorti che ci sono città, molte oramai, che sono invase di negozi cinesi di importanti dimensioni tutte di prodotto no food? Ha fatto scalpore una recente apertura fatta laddove la Coop la fa da padrona, nella città di Ferrara, perché questo negozio sta facendo dei numeri che sorprendono. Il Corriere della Sera, interessata al fenomeno, ha scritto “ Undici ragazzi, età tra i 20 e i 30 anni, tutti rigorosamente cinesi, immigrati di seconda o terza generazione. La cortesia è tipicamente orientale, ma tutto il resto è occidentalizzato. Bandierine tricolori sventolano dal soffitto. E il principale requisito per l’assunzione è l’obbligo di parlare l’italiano, «almeno quello di base: guai non capire il cliente». Anche perché la clientela, per la stragrande maggioranza, è italiana: gente attirata dai prezzi bassi, per non dire stracciati, di questo ipermercato di 1400 metri quadrati (con i magazzini arriva a 2 mila), piazzato strategicamente da qualche settimana alle porte di Ferrara, a un tiro di schioppo dall’autostrada, al fianco di aziende italiane già affermate «così da sfruttarne la scia in termini di clientela» confessa con candore Chen Jin, 29 anni, responsabile del neo mega store, dopo aver fatto la trafila, da magazziniere a commesso. Vendono di tutto, gli uomini della «Yi Gou», persino i presepi scontati. Più di 600 articoli. Solo in parte «made in China»: «Abbiamo firme italiane, inglesi e francesi» afferma una delle commesse, Chen Xiaolei, 22 anni, arrivata da bambina nel Ferrarese. «L’offerta – prosegue – è molto estesa: abbigliamento di ogni genere, calzature, oggetti per la casa, detersivi, giochi, addobbi natalizi, sanitari: solo l’alimentazione non è prevista». «Ce la vogliamo giocare, anche se sarà molto difficile» prosegue Jin, convinto che l’arma qualità-prezzo potrà essere decisiva, ma altrettanto consapevole che da queste parti, e con concorrenti dalle spalle così larghe, il rispetto delle regole sarà molto più che un optional. I dipendenti sembrano formichine in moto perpetuo. Si lavora dalle 9 alle 20, senza giorno di chiusura. E i prezzi sono bassi: difficile trovare un articolo che superi i 30 euro. Chiedere come fanno è come chiedere il nome di chi tira le fila di questo business già sbarcato, e con successo, in alcune città dell’Inghilterra. Pare che la proprietà faccia capo ad alcuni fondi d’investimento in mano a potenti industriali cinesi. Al telefono, dalla sua casa di Ancona, risponde Paolo Xie, 40 anni, nato in Cina e arrivato in Italia 25 anni fa. Dice di aver preso in affitto la licenza del ramo d’azienda: «È stato un investimento graduale. I primi centri commerciali li ho aperti due anni fa in provincia di Ancona e ora tentiamo in Emilia… ».”. Ma l’esempio dell’articolo è uno, di fatto le città italiane sono piene di questi magazzini, e tutti sono colmi di consumatori. I responsabili o anche i proprietari sono tutti giovani, difficilmente superano i 40 anni, sulla pagina facebook abbiamo anche pubblicato un altro articolo che racconta di una giovane coppia di cinesi che ha acquisito in autunno un grande capannone ex dal Cin ed esprimono una grande voglia di fare business, hanno idee, denaro e grandissima volontà. Sulla nostra pagina Linkedin si è aperto un interessante dibattito intorno a questo tema: Stefano Tazzioli del Gruppo Bricofer in un post sostiene che “…dopo articoli in prima pagina dove venivano contestati i giocattoli cinesi poichè prodotti con coloranti nocivi e tossici per la salute..abbiamo gli italiani che fanno la coda nei loro store…che amarezza.”. E’ un punto di vista il suo, è sicuramente un fatto che si siano trovati giocattoli nocivi per la salute in store cinesi, ma anche noi avevamo le nostre mozzarelle blu, insomma nessuno è profeta in patria. Mario Donadio, Store Manager, domanda e si domanda “La libera concorrenza merita rispetto ma loro rispettano tutte le regole, soprattutto quelle del lavoro?”. Filippo Giannuzzi, delle Fattorie Chiarappa, fa notare “Forse non avete letto bene l’articolo: la proprietà è cinese, ma in questo iper sono presenti prodotti italiani, inglesi e francesi e una piccolissima quota di prodotti cinesi”. Questa riflessione si avvicina alla nostra, ovvero quella secondo cui le armi vincenti di questi negozi, oggi veri competitor dei nostri Ipermercati o dei nostri Superstore, sono il punto di incontro di diversi fattori legali o meno: quelle del lavoro, ma è anche vero che le insegne italiane assumono stagisti i cui costi sono davvero relativi, ma anche la struttura della loro offerta, chi ci dice che la nostra è meglio pensata? Che è più convincente?